Il Natale che non c’è più

Il Natale che non c’è più

Natale è la festa della famiglia (si dice infatti: ”Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”), ma anche dei ricordi.

Credo che ognuno di noi abbia mille ricordi, mi auguro soprattutto piacevoli, specie quelli che si riferiscono ai Natali dell’infanzia.

Anch’io ho dei bei ricordi dei periodi natalizi di quando ero bambino, nei primi anni ’50, a Magisano, un paesino calabrese alle falde della Sila, a 600 metri sul livello del mare.

Non si faceva l’albero di Natale e non c’era allora la tradizione dei doni di Babbo Natale, a grandi e piccoli. In qualche casa si faceva il Presepe e spesso con materiale riciclato (capanne ottenute da scatole di cartone rielaborate e la neve era fatta di cotone o farina). Il muschio era quello vero, facile da reperire nella mia zona. In tutte le case venivano appesi, come portafortuna, cespugli più o meno grandi di Vischio, una pianta parassita facile da trovare sui castagni, le querce e i pini, sempreverde e con delle bacche sferiche bianche translucide.

Di tutti i giorni intorno a Natale, il più bello per me era la Vigilia di Natale, il 24 dicembre. Al mattino, in piazza, davanti alla Chiesa, iniziava la preparazione del fuoco per la notte di Natale. Nelle settimane precedenti, veniva raccolta dai boschi circostanti il paese una gran quantità di legna, anche alcuni ceppi di vecchi alberi che erano il miglior combustibile. Naturalmente l’operazione di impilamento della legna in forma accuratamente piramidale era fatta da persone riconosciute da tutti come esperti. Chi voleva aiutare, poteva farlo, ma alle strette dipendenze dei “capi”. Terminato il lavoro di formazione della “pira”, si metteva in cima un bastone che innalzava un cartone con su scritto “BUON NATALE”. Era ormai buio e tutti andavano a casa per la cena.

Il cenone di Natale del 24 dicembre era di magro. Essendo il mio un paese di montagna, si cucinava a base di baccalà, non essendo disponibili altri tipi di pesce. Raramente, qualcuno riusciva a procurarsi un capitone, grossa anguilla femmina, ricercata come cibo tradizionale nelle feste natalizie, ma a me non piaceva molto. Talvolta il capitone, mal custodito, scappava al controllo e girava per casa o anche usciva all’aperto, quasi volesse sfuggire al suo destino di diventare cibo per il cenone. Mia mamma il baccalà lo faceva in tanti modi: al forno, fritto, in umido con le patate e le olive nere. Il primo però era quasi sempre un bel piatto di spaghetti con le alici sciolte nell’olio caldo e il pane grattugiato tostato. Veramente buono e tuttora faccio io stesso questa ricetta, anche fuori dal periodo natalizio. Non mancavano i formaggi, ricotta e pecorino stagionato soprattutto, che ben si accompagnava con le olive seccate al forno. Sottaceti e sottolio erano anche presenti in abbondanza. Il vino era rosso ed era sempre abbondante.

Non c’erano panettoni o pandori, entrati successivamente nella tradizione natalizia, ma tanti buoni dolci fatti in casa, talvolta un po’ diversi da famiglia in famiglia. Solo per ricordarne alcuni, segnalo: le crispelle, specie di ciambelline fritte di forma varia di farina, con o senza acciughe, o di patate; i tardilli, palline fritte di farina e uova, ricoperte poi di miele (mi piacevano tantissimo); i taralli, particolarmente adatti ad essere immersi nel vino; le nepite, ripiene di marmellata; la pitta ‘nchiusa, ripiena di uva passita e noci impastate nel vin cotto. Questi ed altri dolci, che si ritrovano simili in molti paesi e regioni spesso con nomi diversi, si conservavano a lungo e si mangiavano quindi anche nei giorni successivi.

Durante la cena, non era raro sentire sotto la finestra delle persone che cantavano delle filastrocche ben auguranti rivolte al padrone di casa. Erano le “strinne”. Si interrompeva allora la cena e si invitavano i cantori ad entrare e bere un bicchiere di vino, mangiare qualcosa e riscaldarsi vicino al focolare che quella sera ardeva ancora più vivace che mai in tutte le case.

Di solito si finiva di cenare verso le 22,30 – 23.00, tutti molto sazi e qualcuno anche alticcio per il buon vino. Ci si avviava così alla Messa di mezzanotte, ma prima c’era tutto il tempo per assistere, nella Piazza davanti alla Chiesa, all’accensione del fuoco che, nella tradizione, serviva a riscaldare Gesù Bambino appena nato. Era questa una operazione per me magica: vedere come, grazie alle arti dell’esperto compaesano, in pochi minuti la grande catasta prendesse fuoco con le fiamme e le scintille che si innalzavano veloci verso il cielo. Non mancava di solito qualche scherzo con braci e tizzoni, talvolta di dubbio gusto, nei confronti delle persone del paese considerate più sprovvedute. Per noi bambini anche quello faceva parte dello spettacolo. Il fuoco veniva alimentato e mantenuto vivo sino all’Epifania.

Per mezzanotte, si andava ad ascoltare la Messa. La devozione in noi bambini non sempre era altissima e ci andavamo un po’ perché costretti, ma soprattutto per vedere tutti quelli, ed erano tanti, che dormivano e spesso russavano sonoramente. Il vino abbondante della cena e l’ora tarda favorivano facilmente il sonno. Per noi bambini, quello era uno spettacolo imperdibile e poi si poteva far tardi come non mai.

Il giorno di Natale il pranzo era altrettanto abbondante, ma il menu cambiava: pasta piena (detta anche al forno, con polpettine, salame, uova bollite, salsa, provola) o spaghetti con ragù e polpettine; per secondo piatto c’era carne in vari modi e poi abbondanti salumi (specie soppressate e capicolli) e formaggi con sottolio e sottaceti. Oggi, per fortuna, si può dire che le tavole sono più o meno ben imbandite tutti i giorni, allora invece, all’inizio degli anni ’50, Natale era una buona occasione per grandi mangiate e soprattutto per gustare cose che negli altri giorni dell’anno non si mangiavano.

Oggi, per Natale, prevale l’aspetto legato ai regali ai bambini e agli adulti, anche se il cibo resta sempre importante. Allora tutto era basato sul cibo e lo stare in compagnia.

Tanti Auguri a tutti di BUON NATALE!

Luigi Catizone