Pellegrino Artusi e l’arte di mangiar bene

La Gastronomia è certamente una delle tante manifestazioni dell’intelletto (potremmo dire Arte) che rendono l’Italia famosa nel mondo, assieme a Pittura, Scultura, Architettura, Musica, Letteratura, Scienza, Sport, Cinema ed altro ancora, per non parlare poi delle bellezze naturali, disseminate lungo tutta la Penisola e le Isole, grandi e piccole.

La Dante Alighieri Society ha come missione di “Preservare, Promuovere e Diffondere la Cultura e il Linguaggio italiani”.  Pertanto, la nostra rivista, Dante Review, non può fare a meno di inserire anche la Gastronomia Italiana tra gli argomenti da coltivare e diffondere.

Sarebbe forse stato meglio se avessimo avuto un Esperto per scrivere di Cucina italiana sulla nostra Rivista. In mancanza, ma speriamo di averlo in futuro, iniziamo a parlarne noi che siamo dei dilettanti, dicendo subito quella che può apparire un’eresia: “non esiste una Cucina italiana!”. Essa è infatti la somma di piatti che sono nati nelle diverse Regioni italiane e poi si sono diffusi in tutto il mondo. Si può dire che ogni regione, e quasi ogni paese, ha i suoi piatti tradizionali, con ricette, e spesso anche con nomi diversi, da quelle quasi simili dei luoghi vicini.

Citiamo solo alcuni dei piatti più famosi, in un elenco breve e molto incompleto. Innanzitutto, la Pizza, spesso purtroppo contaminata in maniera irriguardosa, con preparazioni che nulla hanno a che fare con la vera Pizza napoletana. Primi piatti: lasagne, tagliatelle, tortellini, ravioli, spaghetti, orecchiette, polenta, minestrone e zuppe di legumi, risotto. Condimenti: ragù alla bolognese, amatriciana, carbonara, pesto, cacio e pepe, vongole, aglio olio e peperoncino. Secondi piatti: fiorentina, fegato variamente preparato, osso buco, cotoletta, fritti vari. Formaggi: ce ne sono a centinaia, ma ricordo solo: mozzarella, parmigiano, pecorino, gorgonzola, asiago. Spuntini: arancini e panini con una vastissima gamma di salumi. Dolci: tiramisù, panna cotta, cannoli, amaretti, zuppa inglese e tutti i dolci della tradizione che si preparano specie per le diverse ricorrenze religiose. Non possiamo certo dimenticare la grande tradizione italiana del Gelato.

Infine, tutti sanno che un buon pasto va accompagnato da un buon vino: l’Italia è il maggior produttore ed esportatore di vini al mondo. Tutte le regioni italiane, dal Piemonte alla Sicilia, hanno i loro vini, tutti di altissima qualità.

La prima trattazione, che potremmo definire scientifica, della Cucina Italiana avvenne per opera di Pellegrino Artusi (nato a Forlimpopoli il 4 agosto 1820 e morto a Firenze il 30 marzo 1911), con la pubblicazione nel 1891 del suo Manuale La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Già il titolo dice molto: se la cucina è una elaborazione scientifica dei diversi ingredienti, per mangiar bene ci vogliono talento e doti artistiche.

Nacque in una famiglia di 12 fratelli a Forlimpopoli, provincia di Ravenna, allora sotto lo Stato Pontificio, da un droghiere benestante, Agostino, e da Teresa Giunchi. Iniziò gli studi nel seminario della vicina Bertinoro, ma il corso scolastico fu irregolare, dato che il padre, mal consigliato, ritenne che al figlio non fosse necessaria tanta istruzione per fare il suo mestiere di commerciante. Si formò quindi da autodidatta e al riguardo ebbe in seguito a scrivere “Quando poi, fatto adulto, ho riflettuto a questo consiglio non mi parve dato da gente savia perché un fondo d’istruzione ben data in qualunque caso è sempre giovevole.”

Inseritosi quindi nell’attività commerciale di famiglia, condusse vita tranquilla fino ai trent’anni, fra libri, stoffe, anici e spezie. Il 25 gennaio 1851 la vita della famiglia Artusi venne sconvolta per sempre da un tragico evento. Infatti il pericoloso brigante Stefano Pelloni, detto il Passatore, assaltò Forlimpopoli con l’intento di rapinare le famiglie più ricche. Anche la famiglia Artusi fu derubata di ogni cosa e malmenata e fu fatta anche violenza ad alcune sorelle di Pellegrino.

In conseguenza di questo drammatico episodio, la famiglia Artusi decise di trasferì a Firenze, capitale del più sicuro Granducato di Toscana, dove rilevarono un banco per la vendita di seta. Presto gli affari andarono bene e gli Artusi si arricchirono considerevolmente.

Nel 1865, quando Firenze diventò capitale d’Italia, Pellegrino Artusi decise di lasciare la sua attività commerciale e nel 1870, cinquantenne, si ritirò a vita privata. Si dedicò alla lettura dei classici italiani, scrivendo alcuni saggi, e soprattutto cominciò a scrivere ricette di cucina, avvalendosi anche di esperienze fatte negli anni passati. Pubblicò così, nel 1891, le sue 790 creazioni nel famosissimo manuale La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene.

Il manuale ebbe una partenza molto difficile e fu ripetutamente respinto da vari editori. Alla fine, Artusi decise di pubblicarlo a spese proprie, inizialmente 1000 copie e poi, nelle edizioni successive, ne fece stampare un numero sempre maggiore. Alla fine ebbe un successo quasi travolgente tanto da assicurare al suo autore fama e popolarità.  Artusi curò personalmente, nell’arco di 20 anni e sempre pubblicate a proprie spese, ben 15 edizioni, aggiornate in continuazione, anche nel linguaggio.

Il Manuale, che raccoglie le tante ricette tradizionali della cucina italiana, è stato ininterrottamente editato da oltre cent’anni e tradotto in diverse lingue, tra le quali, inglese, francese, portoghese, spagnolo, polacco, russo e infine anche giapponese.

Concludo con quanto l’Autore scrisse nella Prefazio della trentacinquesima edizione:

La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria.

 […] Se non si ha la pretesa di diventare un cuoco di baldacchino non credo sia necessario per riuscire, di nascere con una cazzaruola in capo basta la passione, molta attenzione e l’avvezzarsi precisi: poi scegliete sempre per materia prima roba della più fine, che questa vi farà figurare.

Il miglior maestro è la pratica sotto un esercente capace; ma anche senza di esso, con una scorta simile a questa mia, mettendovi con molto impegno al lavoro, potrete, io spero, annaspar qualche cosa.

[…] Ma, vedendo che si è giunti con questa alla trentacinquesima edizione e alla tiratura di duecentottantatremila esemplari, mi giova credere che nella generalità a queste mie pietanze venga fatto buon viso e che pochi, per mia fortuna, mi abbiano mandato finora in quel paese per imbarazzo di stomaco o per altri fenomeni che la decenza mi vieta di nominare.

Ecco due ricette prese dal Manuale dell’Artusi:

  1. TAGLIATELLE COL PROSCIUTTO

Le chiamo tagliatelle, perché dovendo esser cotte nell’acqua e condite asciutte, va tirata la sfoglia alquanto più grossa e tagliata a striscie più larghe dei taglierini. Si tratta sempre di un impasto d’uova e farina, senza punta acqua se le desiderate ben sode e buone.

Tagliate a piccoli dadi una fetta grossa di prosciutto grasso e magro: tritate bene sedano e carota in tal quantità che ambedue facciano il volume del prosciutto all’incirca. Ponete al fuoco queste tre cose insieme, con un pezzo di burro proporzionato al condimento delle tagliatelle. Quando il battuto avrà preso colore, aggiungete sugo di pomodoro oppure conserva, ma con questa occorre un ramaiolino di brodo o, mancando questo, di acqua.

Le tagliatelle cuocetele poco e salatele pochissimo a motivo del prosciutto: levatele asciutte, conditele col detto intingolo e con parmigiano.

Al tempo delle salsicce potete sostituirle, bene sminuzzate al prosciutto, trattandole nella stessa guisa.

Chi ama il gusto del burro crudo ne serbi la metà per metterlo nell’intingolo quando lo ritira dal fuoco.

Anche gli spaghetti sono buoni conditi con le salsicce nella stessa maniera.

  1. OSSO BUCO

Questo è un piatto che bisogna lasciarlo fare ai Milanesi, essendo una specialità della cucina lombarda. intendo quindi descriverlo senza pretensione alcuna, nel timore di essere canzonato.

È l’osso buco un pezzo d’osso muscoloso e bucato dell’estremità della coscia o della spalla della vitella di latte, il quale si cuoce in umido in modo che riesca delicato e gustoso. Mettetene al fuoco tanti pezzi quante sono le persone che dovranno mangiarlo, sopra a un battuto crudo e tritato di cipolla, sedano, carota e un pezzo di burro; conditelo con sale e pepe. Quando avrà preso sapore aggiungete un altro pezzetto di burro intriso nella farina per dargli colore e per legare il sugo e tiratelo a cottura con acqua e sugo di pomodoro o conserva. Il sugo passatelo, digrassatelo e rimesso al fuoco, dategli odore con buccia di limone tagliata a pezzettini, unendovi un pizzico di prezzemolo tritato prima di levarlo dal fuoco.


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Luigi Catizone