Teatro alla Scala di Milano: la sua storia

Teatro alla Scala di Milano: la sua storia

 

Il teatro alla Scala è il più celebre d’Italia e tra i più noti del mondo. Questa fama è stata raggiunta in quasi 250 anni di vita e di successi. Ma anche di aneddoti che hanno sempre più legato questo teatro alla vita ed ai costumi milanesi.

Fin dal 1717 la Corte Austriaca aveva un suo teatro Ducale, posto all’interno del Palazzo Regio, proprio di fianco al Duomo, teatro che andò distrutto nel 1776 per un incendio.

L’imperatrice d’Austria, appassionata di opera lirica, e l’arciduca Ferdinando diedero l’incarico al Regio Architetto Giuseppe Piermarini (1734-1808) di costruire un nuovo teatro. La scelta del sito fu lungamente dibattuta. Piermarini proponeva via Marina, ma i proprietari dei palchi (i veri finanziatori) proposero, vincendo, l’area della chiesa gotica di Santa Maria della Scala. Il nome “alla Scala” derivava dalla fondatrice della chiesa, Beatrice della Scala di Verona, moglie di Berna Visconti che la fece costruire alla fine del 1300.

Scelto il sito, fu lo stesso Piermarini a suggerire di costruire il teatro in cotto, per ridurre il rischio di incendi, anche se la sala, per motivi da acustica, sarebbe stata di legno. Si pensò anche ad un dispositivo antincendio realizzato con una vasca piena d’acqua disposta sopra la cupola, ma non fu realizzata.

In origine, non c’era l’attuale piazza tra la Scala e Palazzo Marino, e il teatro dava su una via abbastanza stretta. Successivamente furono abbattute le case che erano di ostacolo, così da dare spazio alla facciata principale del teatro.

Come detto, la sala era in legno, di straordinario effetto acustico e presentava la classica disposizione a ferro di cavallo con quattro ordini di palchi e due gallerie.

La musica vi risuonò per la prima volta il 3 agosto 1778, con “L’Europa riconosciuta” di Antonio Salieri.

Poiché i palchi erano di proprietà dei privati, potevano essere arredati secondo il gusto del palchettista; diventarono presto dei pied-à-terre utilizzati come luogo di ritrovo, conversazione, gioco, affari, pranzi e anche per incontri amorosi, grazie alle tende con cui potevano essere chiusi. Nel retropalco vi era uno specchio che celava un finestrino, che veniva usato come passaggio per lo scarico delle stufe su cui si cucinava e anche come discarica per la pattumiera. E questo divenne prestissimo un problema, al punto che appena un mese dopo l’inaugurazione del teatro apparve questo avviso: ”Per maggiore pulizia del teatro ed anche per impedire che possa gettarsi dalle finestre de’ camerini acqua ed immondizie, […] sarebbe desiderabile che si facesse porre una piccola grata di ferro alle finestre di ciascun camerino.”

Per la Milano del Settecento la Scala divenne subito il punto di ritrovo tra mondanità e cultura, tra politici e intellettuali. Qui si discutevano le riforme, si commentavano gli avvenimenti mondani, scoppiavano litigi e si decretavano duelli.

Poi, dopo ogni serata, primeggiavano per splendidezza i ricevimenti delle famiglie più prestigiose di Milano, i Beljoioso, i Borromeo, i Melzi, i Litta, i Serbelloni…

Il palcoscenico era uno dei maggiori d’Italia e con l’ingrandimento del 1814 superò per ampiezza la stessa platea consentendo la predisposizione di giganteschi impianti scenici.

Scrive ammirato Stendhal nel 1816: Nella sala non c’è lampadario: il teatro è illuminato soltanto dalla luce proveniente dalle quinte. Impossibile immaginare niente di più fastoso, ricco, imponente, originale, in tutto ciò ch’è architettura.

All’epoca si usavano lampade a olio e candele che, naturalmente, illuminavano ben poco ma, al contrario, appestavano l’ambiente con il loro fumo. Per farlo uscire c’erano dei buchi nel tetto che in inverno lasciavano entrare il freddo trasformando il teatro in una ghiacciaia.  Nel ridotto c’era un’unica stufa verso la quale d’inverno tutti accorrevano a scaldarsi durante gli intervalli.

Il problema fu ridotto nel 1821, quando fu introdotto un grande lampadario centrale, chiamato la “lumiera” con 84 lampade Argand, che sono lampade a petrolio col bulbo di vetro. Pare però che il lampadario scendesse troppo dalla volta e gli spettatori della quarta e quinta fila dei palchi non vedessero più nulla. Non solo, ma il lampadario rimaneva acceso durante tutto lo spettacolo e questo rovinava l’effetto prospettico delle scenografie. E poi dava fastidio a chi voleva dormire, durante le opere più noiose…

I problemi furono risolti solo molto più tardi, nel 1883, quando si adottò la luce elettrica.

All’inizio in platea non c’erano poltrone, ma solo posti in piedi e sedie mobili. Vi trovavano posto soprattutto i servitori dei palchettisti, pronti ad accorrere a un cenno del loro padrone, e il loro ingresso era tacitamente gratuito.

Inoltre l’assenza di poltrone fisse consentiva anche l’impiego del teatro per balli di corte e di società.

L’intensa attività sociale che si teneva nei palchi distraeva spesso il pubblico.  I cantanti e gli orchestrali spesso litigavano tra loro al punto che nel regolamento del teatro furono costretti a specificare che non erano ammessi alterchi tra i professori d’orchestra. I cantanti, approfittando della generale distrazione, ogni tanto fingevano di cantare muovendo la bocca, per risparmiare la voce in vista delle cavatine, gli unici momenti in cui il brusio si pacava e gli occupanti dei palchi prestavano un po’ di attenzione.

Oggi sembra strano, ma all’epoca una delle maggiori fonti d’introito per il teatro era il gioco d’azzardo. Tra i molti giochi d’azzardo di quei tempi, sicuramente alla Scala si giocava a carte e alla roulette. Poi gli austriaci nel 1815 lo proibirono, compensando la Scala con duecentomila lire all’anno, quasi un milione di euro di oggi.

Durante il Risorgimento, nel 1859, sui muri esterni del teatro comparve la scritta “Viva VERDI”: che inneggiava al compositore ma era un acronimo per “Vittorio Emanuele Re D’Italia”, e si sentirono grida Viva Verdi durante l’esecuzione del Simon Boccanegra.  Pochi mesi dopo Vittorio Emanuele di Savoia avrebbe liberato Milano dall’occupazione austriaca, insieme a Napoleone III.

Durante i primi centocinquant’anni di vita l’attività del teatro alla Scala iniziava il giorno di Santo Stefano (26 dicembre) con la Stagione di Carnevale, durante la quale si rappresentarono per lo più opere serie, in tre o quattro atti intervallati da balli. La stagione di Carnevale si concludeva alla vigilia della settimana di Carnevale, durante la quale il teatro ospitava i balli e il veglione mascherato del Sabato Grasso.

La fortuna della Scala e del sistema dei palchettisti continuò fino all’arrivo della prima guerra mondiale. Nel 1917 con un laconico comunicato, la direzione del teatro prese atto che i Visconti di Modrone, che ne avevano sostenuto il disavanzo fino a quel momento, avevano dichiarato forfait: ”Ma per quanto amore possa dedicare e conservare l’antica tradizione della sua famiglia in rapporto alla Scala, non si sentì il coraggio di affrontare l’ultimo esercizio 1917-1918 della sua gestione e notificò la recessione del suo contratto”. Finì così l’era dei palchettisti ed iniziò quella degli abbonati e dei loggionisti.

Ma questo non mutò il successo della Scala che, nel periodo tra le due guerre, come gli altri teatri milanesi, rappresentò un fortissimo elemento di identità per Milano.

Arturo Toscanini aveva tenuto la sua prima direzione d’orchestra alla Scala nel 1898, e molte furono le sue mitiche direzioni negli anni seguenti. La sua ostilità al regime fascista e nazista lo obbligò ad emigrare negli Stati Uniti nel 1939.

La Seconda Guerra Mondiale colpì duramente Milano, tanto che nel giugno 1943 anche la Scala venne bombardata.

Subito, coi pochi soldi a disposizione, l’architetto Lorenzo Secchi, capo dell’ufficio tecnico del Comune di Milano, prese le redini della ricostruzione. In breve tempo il teatro riprese la sua attività.  La ricostruzione venne terminata da Secchi nel 1946, quando arrivarono nuovi soldi e con la riapertura definitiva della Scala tornò anche Toscanini. Al termine delle prime prove l’architetto Secchi trepidante si avvicinò a Toscanini. Il maestro lo guardò e gli disse “L’acustica è come prima, meglio di prima”. Era la nuova consacrazione del Teatro a tempio della musica.

Su progetto dell’architetto svizzero Mario Botta, tra il 2002 e il 2004 la Scala è stata oggetto di una radicale ristrutturazione, allo stesso modo in cui si era intervenuti anche sui grandi teatri europei come L’Opera di Parigi e il Covent Garden di Londra. Questa della Scala ha portato ad aggiungere una torre scenica di dimensioni anche maggiori, e (a lato) una struttura a pianta ovale.

In un prossimo articolo parleremo dei personaggi più famosi che sono passati dal Teatro alla Scala.

Ringrazio l’Associazione Slow City (www.slowcity.it) e Maria Lorenza Tieghi per avere concesso materiale tratto dal loro video-documentario sul Teatro Alla Scala.

Pietro Catizone (corrispondente dall’Italia)